giovedì 7 gennaio 2010

Una struttura polifunzionale per la comunità di Trento

Una città vive e prospera solo se mette a disposizione dei suoi abitanti un gran numero di luoghi pubblici. Penso sì alle piazze, alle piste ciclabili, alle strade riservate ai pedoni. Ma anche ai teatri, alle palestre, ai musei, alle sale in cui ci si può incontrare anche solo per scambiare due chiacchiere o fare una partita a carte. Non è dunque un caso se, in questi anni, l’Amministrazione comunale ha investito sulla riqualificazione delle vie e delle piazze, dei centri civici, delle sedi delle associazioni. Sia chiaro, non abbiamo ancora portato a termine la nostra impresa. Soprattutto, non abbiamo dato risposta a una richiesta che, in questi anni, è stata avanzata da più parti: quella di un grande spazio polivalente coperto, capace di ospitare tutto l’anno concerti, incontri, serate di ballo, partite di volley o calcio a cinque. Oggi, grazie alla sinergia con un partner privato, queste e altre attività potrebbero trovare casa in un teatro tenda, ovvero in una grande struttura mobile, “leggera” per quanto riguarda i costi di gestione e versatile dal punto di vista dell’utilizzo. Perché un teatro tenda a Trento? Per almeno una buona causa, che è quella di dare ai giovani della nostra città un luogo in cui esprimersi, incontrarsi, sperimentare insieme. E per almeno cinque buoni motivi, che qui cercherò di riassumere.
Grandi nomi a caro prezzo. Attualmente Trento può contare sostanzialmente su tre grandi contenitori: l’auditorium Santa Chiara (800 posti), il teatro sociale (600 posti) e il palazzetto dello sport (circa 4 mila posti). Quest’ultimo però, oltre a non offrire un’acustica adeguata, è praticamente monopolizzato dalle attività sportive, numerose e seguitissime grazie al successo delle squadre cittadine del volley e del basket e di un settore giovanile vivace e in piena espansione. Proprio a causa di questi spazi ridotti, a Trento l’organizzazione di un qualsiasi grande evento è molto più costosa che altrove: essendo limitato il numero di posti riservati al pubblico, i grandi nomi della musica leggera o dello spettacolo sono spesso economicamente quasi inaccessibili. Per questa ragione, gli appassionati di musica sono spesso costretti a spingersi in Veneto o anche in Lombardia per assistere a un concerto.
Palestre cercansi. Ma non è solo il settore dell’offerta musicale o degli spettacoli ad essere in sofferenza. A Trento c’è infatti una grande domanda di spazi sportivi: pensiamo per esempio al fenomeno del calcio a cinque amatoriale, spesso costretto a emigrare in palestre fuori città. O al grande movimento giovanile del volley e del basket, che non di rado non trova spazi adeguati per allenamenti e tornei.
Eventi senza spazio. Trento, anche per il suo ruolo di capoluogo, ospita spesso eventi che hanno non solo una valenza provinciale, ma anche nazionale. Si tratta di iniziative diverse, che comunque richiamano decine di migliaia di persone. Ci riferiamo, tanto per fare qualche esempio, al Festival dell’Economia, alla Notte bianca, alle Vigiliane… In tutte queste occasioni, un contenitore di adeguate dimensioni potrebbe non solo garantire uno spazio coperto in caso di maltempo, ma anche rendere meno elitari eventi capaci di attrarre migliaia di persone. Si consideri poi che piazza Duomo in futuro non potrà più ospitare eventi eccessivamente impattanti, che dunque potranno essere dirottati sul teatro tenda.
Manifestazioni religiose. Palestre e sale cittadine sono utilizzate spesso per ospitare manifestazioni a carattere religioso, riunioni di movimenti confessionali, momenti di preghiera. La tensostruttura potrebbe rispondere anche a queste esigenze.
Attività ricreative per tutti (dai bambini agli anziani). Infine, l’altra grande richiesta proveniente dalla città è quella di spazi per tutte quelle attività ricreative che coinvolgono le associazioni, le scuole, i bambini, la terza età, le circoscrizioni. Feste, sagre, i balli dei circoli anziani, le castagnate, il raduno degli scout possono trovare nel teatro tenda uno spazio adeguato.
Come si vede, l’idea di collocare a Trento un teatro tenda non nasce dalla volontà di far concorrenza ad altri comuni, ma dall’intenzione di dare risposta a una richiesta di spazi proveniente dalle associazioni, dai quartieri, dagli sportivi, dagli ambienti culturali della nostra città. Dovrà trattarsi di una struttura modulare, che potrà essere utilizzata anche solo parzialmente e adattata di volta in volta alle varie esigenze: una mostra, il torneo di calcio a cinque, l’iniziativa delle parrocchie, il grande concerto, l’assemblea dei soci di una banca, di un’associazione, di una cooperativa, la conferenza con il relatore capace di attirare migliaia di persone. Sarà dotata di spogliatoi, servizi igienici, attrezzature sportive, bar. Potrà diventare anche una sorta di “officina” per la produzione di spettacoli, a servizio di compagnie teatrali, artisti, case di produzione. Naturalmente, dovrà essere gestita in rete con il centro Santa Chiara, in modo da non rappresentare un elemento di concorrenza, ma un’integrazione all’offerta di spazi pubblici, un’alternativa a cui ricorrere ogni qualvolta ci sarà la necessità di avere una platea più grande. Un’alternativa qualificata, perché le moderne tensostrutture già diffuse in molte città italiane sono in grado di conciliare il grande afflusso di persone degli spettacoli rock e pop con le performance acustiche e il comfort visuale richiesti per altri tipi di concerto (classica, jazz, danza).
Alla luce di queste considerazioni, credo che la contrapposizione alimentata in questi giorni tra il teatro tenda pensato per Pergine e il progetto in cantiere a Trento sia del tutto artificiale e pretestuosa. Mi pare che la tensostruttura della Valsugana sia infatti la naturale evoluzione di “Pergine Spettacolo Aperto”: è da quell’esperienza che nasce l’idea di un’arena estiva coperta capace di dare un tetto a una rassegna cresciuta negli anni sia in termini di pubblico sia in termini di qualità della proposta. A Trento, come ho già illustrato, il teatro tenda nasce da una storia completamente diversa, ovvero dall’esigenza di soddisfare una richiesta interna, tutta cittadina. Semplicemente, accade che i nostri 114 mila abitanti, tra i più sportivi d’Italia, tra i più attivi nell’associazionismo, reclamino a ragione nuovi spazi per esprimersi. Accade che un capoluogo, dove nei giorni lavorativi vivono oltre 200 mila persone, abbia bisogno di dotarsi di nuovi servizi, anche per rimanere competitivo con le altre città del Nord Italia. Ben lungi da noi il proposito di accentrare o di sottrarre alcunché. Anzi, l’idea della rete per noi resta vincente, sempre che si riconosca che l’interdipendenza tra i nodi non significa né sovranità limitata, né autarchia, ma piuttosto giusta valutazione dei rispettivi bisogni. Quelli di Pergine, senza dubbio, ma anche quelli di Trento, che non possono essere né delegati né mortificati.

martedì 22 settembre 2009

Il termovalorizzatore e la strategia dello struzzo

Mi pare che, ancora una volta, il dibattito politico sul termovalorizzatore venga alimentato dal centrodestra cittadino a colpi di slogan, di richieste di rinvio, di no a tutto campo. “Fermi tutti”, è il grido di guerra, ma fermi non possiamo stare, perché le nostre discariche si avviano all’esaurimento, perché non vogliamo esportare rifiuti, perché riteniamo che per rendere Trento sempre più moderna e competitiva servano soluzioni nuove e aggiornate. Certo, è facile alzare i polveroni, lanciare idee alternative fingendo di non sapere che nella nostra provincia sarebbero poco o per nulla efficaci. Più difficile è forse trovare soluzioni vere e produrre proposte concrete, in modo da non rinviare i problemi ai nostri figli, in modo da non condannare i trentini all’emergenza (ricordate Napoli?) tra non molti anni. Io credo che i cittadini ci chiedano di decidere e di non abbandonare il campo non appena la partita si fa complessa. Oltretutto, chi oggi mette in dubbio una decisione che dovremmo già dare come acquisita, sposta il dibattito dai temi veri. Ovvero: la scelta della migliore tecnologia possibile per limitare al minimo l’impatto ambientale, l’individuazione di compensazioni con l’eliminazione di altre fonti di inquinamento, l’ottimale inserimento paesaggistico.
Oltretutto, mi pare strano che il partito che a livello nazionale sta riportando il nucleare in Italia manifesti la propria contrarietà al termovalorizzatore facendo terrorismo sulle scorie e bollando il progetto come anacronistico. Si dimentica forse che le discariche oggi sono realtà da paesi in via di sviluppo e che, al contrario, gli impianti per il trattamento termico dei rifiuti sono stati inventati da quei paesi del nord Europa che per primi hanno intrapreso la strada della raccolta differenziata. Non a caso l’innovazione tecnologica nel campo dei termovalorizzatori ha compiuto passi da gigante, soprattutto per quanto riguarda l’abbattimento dei fumi. Basti pensare che stime dell’Agenzia per l’Ambiente inglese dicono che le emissioni di diossina generate da 35 tonnellate di fuochi di artificio “sparate” durante i festeggiamenti per il Millennio a Londra sono equivalenti a quelle che l’inceneritore londinese produrrebbe in 120 anni (fonte: Enviroment Agency 2000).
Un’ultima riflessione. Qualcuno non ha perso l’occasione per fare del facile quanto inutile sarcasmo quando io ho detto che occorre pensare non solo allo smaltimento dei rifiuti nei prossimi vent’anni (20 anni, come l’età media di un termovalorizzatore), ma anche oltre. A me invece la cosa pare molto, ma molto seria, anche perché conosco i tempi di incubazione di iniziative complesse come queste. Se poi la costruzione di un impianto di questo tipo dovesse coinvolgere non solo centinaia di comuni, ma pure due province, allora la partita si farebbe ancora più difficile. Il che non deve indurre a nascondere la testa sotto la sabbia sperando che le cose si aggiustino da sé. La strategia dello struzzo, a mio parere, non ha mai portato a nulla di buono.

mercoledì 6 maggio 2009

Grazie a tutti

Care concittadine, cari concittadini,
vi voglio innanzitutto ringraziare perché mi avete assegnato l’onore più alto a cui un trentino possa aspirare: l’onore di lavorare a tempo pieno per la nostra città e per i cittadini che la abitano. Per tutti i cittadini: per quelli che mi hanno votato, per coloro che hanno preferito un altro candidato e per quelli che domenica, per svariate ragioni, hanno disertato le urne. Sappiate che, qualunque sia stata la vostra scelta, io voglio essere il sindaco di tutti dimostrando nei fatti di meritare la fiducia che mi avete accordato o, se il vostro voto è andato ad altri, impegnandomi ad ascoltare e a valutare ogni vostra proposta, da qualsiasi parte essa provenga.
Il mio primo impegno, nei prossimi giorni, sarà proprio quello di ripartire dall’ascolto, sarà quello di stare a sentire i desideri, le speranze, le amarezze della nostra città. Vedete, io ritengo che a un sindaco non sia sufficiente la legittimazione che gli arriva il giorno del voto: il legame con la città va costruito e rinnovato quotidianamente, cercando di rispondere ai bisogni, non solo a quelli immediati e concreti, ma anche a quelli più immateriali, che spesso si traducono in paure, diffidenza, senso di sradicamento. Dunque, nei prossimi mesi, intendo visitare tutti i quartieri, incontrare le associazioni, le categorie economiche e tutti i cittadini che avranno un problema o un suggerimento da esporre. Spero che siano in molti anche a “frequentare” il mio blog (www.alessandroandreatta.blogspot.com), piazza virtuale che certo non sostituisce quella reale, ma può aiutare a tener vivi i legami e a ragionare insieme su quella cosa così importante che si chiama “bene pubblico”.
L’ascolto, dunque. E poi i provvedimenti concreti: la squadra di pronto intervento, per rispondere il più celermente possibile alla mamma che segnala una panchina rotta al parco o al cittadino che ha notato un lampione spento. E ancora: la family card, i mutui agevolati e tutti i provvedimenti a sostegno delle famiglie che più risentono di questa crisi economica. La mobilità, a cui dedicheremo tutto il nostro impegno per accorciare le distanze e per far diventare Trento una città più pulita e ordinata. I giovani, la sicurezza, la prevenzione del disagio, la semplificazione dei rapporti con i cittadini: su ognuno di questi temi cercheremo naturalmente anche la vostra collaborazione e quella delle forze politiche, senza preclusioni di schieramento.
Non mi sono mai presentato come l’uomo dei miracoli, mi considero piuttosto un ottimista della volontà. So che la democrazia può essere faticosa, che alcune sfide possono sembrare impossibili ma, per carattere ed esperienza, credo pure che l’impegno possa portare lontano e che la mediazione sia sempre possibile, anche quando le posizioni sono all’apparenza inconciliabili. Sono dunque certo che, tutti insieme, faremo crescere ancora la nostra città. Già oggi molti la considerano un modello, ma noi non abbiamo alcuna intenzione di sederci sugli allori perché sappiamo che, a guardare le cose da vicino, c’è ancora molto da fare. Proprio sui punti deboli, sulle disparità, sui progetti da avviare o terminare lavoreremo tutti insieme, cittadini e amministratori, perché ci sentiamo responsabili non solo di questo nostro presente ma anche della città futura che consegneremo alle prossime generazioni.
“Quando un passero muore a Central Park, io mi sento responsabile”, diceva Fiorello La Guardia, sindaco italoamericano di New York. Mi piacerebbe che fosse questo lo spirito con cui noi tutti - la Giunta, il Consiglio comunale, le Circoscrizioni, le donne e gli uomini di questa città - affronteremo le sfide che ci attendono nei prossimi anni.

Ancora grazie per la fiducia

giovedì 30 aprile 2009

Io stringo la mano alla mia città

Sono gli ultimi metri quelli che ormai ci separano dal traguardo. In queste settimane abbiamo corso insieme una lunga maratona, ormai si vede il nastro di arrivo. Sono state giornate dense di impegni, di incontri, di confronti che mi hanno dato modo di capire, se ancora ce n’era bisogno, quanto sia vivo e vitale il senso di appartenenza a questa città. Quello che vogliamo costruire è un progetto condiviso per una Trento solidale, rispettosa delle regole, aperta, ordinata. Una città di tutti, capace di garantire pari opportunità a prescindere dal reddito e dalla provenienza, una città in cui nessuno rimane indietro, dove nessuno resta solo. Ho potuto toccare con mano in queste settimane quanta voglia ci sia, ancora, di mettersi in gioco, quanta energia da spendere per realizzare questa idea condivisa di città. Non la mia, la nostra.
È proprio questa forte sensazione di condivisione, che nasce dal confronto con i cittadini, dal dialogo con la società civile che mi appare sinceramente un po’ tardivo e poco originale l’idea di chi si appresta a firmare un contratto per la città. Il contratto a mio modo di vedere è infatti qualcosa che regola i rapporti tra estranei, tra persone che proprio perché poco si conoscono hanno bisogno di mettere nero su bianco il loro patto. Non è il nostro caso. Al contratto io preferisco una sincera stretta di mano. Che conta di più di mille firme perché si basa sulla fiducia reciproca, quel legame forte e autentico che lega le persone, i cittadini alla propria città. La fiducia la si conquista con i fatti, non con le semplici dichiarazioni, con il rispetto reciproco, con la coerenza.
Sarà l’amministrazione dell’impegno concreto, in grado di guardare al futuro e gestire il quotidiano. Ci metteremo al lavoro da subito, con una lista di quattro priorità da realizzare nei primi cento giorni.

Per una città efficiente squadra d’intervento snella e operativa sul territorio per dare risposte rapide ai cittadini sui problemi spiccioli: il lampione che non va, la panchina rotta al parco, la buca da sistemare

Un pacchetto di misure contro la crisi economica: family card, mutui agevolati, cabina di regia guidata dal Comune con le associazioni di categoria e gli istituti di credito presenti sul territorio. Raddoppio del mercato contadino

Per migliorare la mobilità il metrò: studio di fattibilità per una linea leggera e automatizzata da Trento nord al nuovo ospedale

Per un’amministrazione vicina ai cittadini operazione ascolto: visite a tutti i quartieri per raccogliere suggerimenti, proposte e proteste. Incontri con tutte le categorie economiche per definire una lista di interventi prioritari in modo da aiutare le imprese, soprattutto quelle artigianali e commerciali

mercoledì 29 aprile 2009

L'appello al voto di Alberto Pacher

Pubblico sul mio blog l'appello al voto di Alberto Pacher.
Non è vero che tutti i politici sono uguali, che chiunque vinca tanto non cambia nulla, che a Trento si sta e starà bene comunque, qualunque sia il colore della giunta che governerà Palazzo Thun. Anche se le elezioni non sono il giorno del giudizio, credo sia giusto sottolineare le differenze tra lo schieramento che sostiene Alessandro Andreatta e i suoi principali sfidanti, per lo più appartenenti al centrodestra.
Tutti noi che ci riconosciamo nel centrosinistra autonomista siamo per una politica laica che, proprio perché laica, è in grado di dialogare con tutti, al di là delle appartenenze culturali e religiose. Noi siamo per una politica che non alimenta i conflitti, che non esaspera le differenze e non esclude, ma cerca piuttosto di allargare i confini della comunità. Noi siamo per la sicurezza, che è sì presidio del territorio, ma è anche prevenzione, ovvero dormitori per i senza fissa dimora, aiuti alle persone in difficoltà, progetti per fare in modo che le persone non scivolino nell’emarginazione o nella devianza. Noi siamo per l’uguaglianza delle opportunità, per la valorizzazione delle competenze, per le culture, che sono sempre plurali.
Anche il centrosinistra autonomista, pur essendo unitario e coeso, è plurale e porta in dote una serie di sensibilità che ben interpretano le variegate componenti della nostra città. L’attenzione al sociale, alla legalità, all’ambiente, all’identità trentina, alla laicità e ai valori cattolici sono tutti ugualmente rappresentati nella coalizione e ne costituiscono la forza e la ricchezza.
Per questo spero che siamo in tanti, domenica, a scegliere Alessandro Andreatta e il centrosinistra autonomista. A chiedere la continuità, a decidere che Trento deve continuare a crescere. A votare non per la paura, ma per quella cosa più difficile e faticosa che si chiama speranza.
Alberto Pacher

martedì 28 aprile 2009

La città che non c’è

Le campagne elettorali sono momenti importanti nella vita di una città. Perché, per forza di cose, alla vigilia delle elezioni il confronto fra idee e progetti diventa più serrato e appassionante. Anche questa volta il dibattito è stato a tratti interessante, però forse non quanto mi sarei aspettato alla vigilia. Più d’una volta mi è capitato infatti di dovermi confrontare con un’idea di città distorta o, più esattamente, con una “città che non c’è”. Una città-slogan, facile da farci un titolo di giornale, ma inconsistente quando la guardi da vicino e con attenzione.
Voglio fare solo qualche esempio. Prendiamo il “Buco Tosolini”. Pino Morandini s’è fatto immortalare lì davanti per denunciare “l’assurdo spreco di terreno in un’area centrale della città”. Si è dimenticato di dire purtroppo che, grazie a un accordo siglato definitivamente dalla commissione urbanistica nel 2006, in quell’area oggi si può costruire un palazzo da circa 30 mila metri cubi previa cessione al Comune di 2.700 metri quadrati da destinare a servizi pubblici. A dire il vero, in qualità di assessore all’urbanistica, avevo individuato questa soluzione già nel 2002. Sulle prime però Tosolini ha rifiutato l’accordo, salvo poi cambiare idea e accettare tre anni dopo. Insomma, il problema del buco Tosolini – una questione che si trascina addirittura dal 1981, quando io ero un giovane universitario – noi l’abbiamo risolto, mica creato…
C’è poi la questione degli sprechi, cavalcata così, in modo generico, senza mai fare una cifra. Anzi no, un numero è stato buttato lì un paio di volte, ma è stato altrettanto velocemente archiviato perché era del tutto fuori bersaglio. Mi riferisco al presunto gigantismo del Comune di Trento che avrebbe 500 dipendenti in più del Comune di Bolzano. Vero, sennonché si è trascurato di aggiungere che la gran parte dei servizi sociali – dall’assistenza sociale, ai nidi, agli anziani – del capoluogo altoatesino sono gestiti da un’azienda speciale pubblica, l’Azienda servizi sociali di Bolzano, appunto. Ecco allora spiegati i 500 dipendenti in meno... Lo stesso discorso vale per le consulenze – un diluvio, secondo qualche mio avversario – ridotte al minimo del 2008 (l’anno scorso ammontavano a 130 mila euro, 250 mila in meno rispetto all’anno precedente).
Passiamo alla collina. Qualsiasi persona non in malafede sa che l’espansione nei sobborghi collinari è stata decretata decenni fa, quando la fame di case era tanta e la tutela del territorio non era certo la prima preoccupazione. E’ il 1967 quando il Pup stabilisce che la città si doveva allargare in collina, è il 1968 quando il prg recepisce questa indicazione senza purtroppo prevedere una viabilità adeguata. Il nuovo prg del 1989 conferma questa tendenza creando zone di espansione a Villamontagna, Borino, Martignano, Gazzadina, Montevaccino… Peccato che qualche candidato ignori (o finga di ignorare) questa importante pagina della storia cittadina. Peccato che non si ricordi mai che, da assessore all’urbanistica, in collina ho tagliato 500 mila metri cubi, ho ridotto le altezze e ho stabilito la larghezza minima delle strade (3, 5 o 4,5 metri a seconda delle cubature).
Potrei continuare ancora, perché “la città che non c’è” è fatta anche di sobborghi trascurati (negli ultimi anni abbiamo costruito o rinnovato 7 piazze, 8 parchi, 16 scuole e 11 spazi di aggregazione…), di scarsa attenzione alle famiglie (cito solo i posti nei nidi, che nel 2012 saranno 1500, praticamente un primato in Italia), di tariffe e tributi a iosa (abbiamo la pressione fiscale più bassa d’Italia), di insicurezza (enfatizzata ad arte). A pensarci bene però questa “città che non c’è” a qualcosa serve: serve ad avere qualcosa e qualcuno con cui prendersela…

Nel numero di aprile di AnciRivista...

Di seguito il mio intervento pubblicato sul numero di aprile di AnciRivista, il mensile dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani.


Visione aperta e nuova

Dopo la riforma istituzionale approvata dalla Provincia di Trento due anni e mezzo fa, credo sia arrivato il momento di cercare un nuovo modello di governo dell’area urbana. A Trento oggi vive circa un quarto della popolazione trentina. Chi ha fatto parte delle amministrazioni di questa città sa bene che la scala dei problemi che spesso ci si trova ad affrontare richiederebbe strumenti di cui purtroppo il Comune capoluogo non dispone. Attenzione, nessuno coltiva illusioni di autosufficienza, perché sarebbe antistorico. E’ piuttosto auspicabile che Trento possa assumersi presto, nell’interesse dei cittadini, una responsabilità differenziale più ampia. Se la Provincia vorrà proseguire nel percorso di decentramento e responsabilizzazione delle autonomie di base, come si evince dalla riforma istituzionale, ci sono tutte le premesse per aprire un tavolo di discussione per riflettere sull’opportunità di elaborare uno statuto originale e distinto per la città di Trento.
Credo che Trento, sia per la sua dimensione politica che per la sua oggettiva dimensione amministrativa, abbia in sé le caratteristiche necessarie a gestire autonomamente una più consistente parte delle competenze oggi in capo alla Provincia. Il modello a cui rifarsi potrebbe essere quello della Communauté Urbaine francese, istituita nel 1966 e ancora oggi strumento di governo delle aree urbane. Non serve che io mi soffermi troppo sulle ragioni che mi spingono a lanciare questa proposta: è piuttosto chiaro che una città ha problemi del tutto differenti rispetto a quelle dei comuni di piccola o media dimensione. Diversa è la dimensione dei problemi, diversa la scala, diversi gli impatti e gli interessi coinvolti: diversi, conseguentemente, dovrebbero essere gli strumenti amministrativi a disposizione.
Una città come Trento sviluppa ormai forme di governance atte a coinvolgere nelle scelte pubbliche le grandi categorie degli interessi, i gruppi sociali, le confederazioni sindacali. Dunque Trento oggi è chiamata a sviluppare il proprio agire secondo assi strategici del tutto originali rispetto a quelli di un piccolo comune. Diverse sono anche le necessità finanziarie e superiori le responsabilità.
Ritengo, dunque, che occorra ragionare sulla possibilità di pensare un nuovo modello di governo speciale, differenziando per quanto possibile gli strumenti e le responsabilità della città rispetto a quelle dei piccoli comuni. Sussidiarietà, in fondo, significa proprio questo.

Alessandro Andreatta
Sindaco reggente